di Cristina Gazzetta e Stefano Salimbeni
«La parola “ambiente” (environment, environnement, medioambiente, Umwelt), nonostante il suo impiego sia divenuto d’uso corrente come parola d’ordine, per così dire, di attenzione e allarme per vicende e paure di catastrofi legate all’impatto delle attività umane sulla natura, indica alla lettera solo tutto ciò che è ‘intorno’ a qualcuno (o qualcosa). Si tratta di un termine talmente generico da sembrare quasi privo di contenuto specifico o definibile. E, in effetti, è stato utilizzato, fino a tempi relativamente recenti (secondo alcuni fino agli anni 1950), per riferirsi a uno ‘spazio circostante’». Negli ultimi tempi le sempre più frequenti reazioni climatiche avverse, col loro strascico di eventi luttuosi e di stravolgimenti degli assetti idrogeologici, aumentano la preoccupazione per un degrado ambientale progressivo, motore di numerose proteste sociali, senza distinzione di sesso, età, etnia, censo o cultura, contro l’insufficienza o addirittura l’assenza di azioni politiche utili a fronteggiare la crisi ambientale e che è causa (anche) dell’aumento dei flussi di migranti ambientali.
Abstract
In recent times, the increasingly frequent adverse climatic reactions, with their aftermath of tragic events and upheavals of hydrogeological structures, increase the concern for a general and progressive environmental degradation, the driving force of numerous social protests, without distinction of sex, age, ethnicity, wealth or culture, against the insufficiency or even absence of useful political actions to deal with the environmental crisis. From the point of view of comparative law, the exercise that we intend to carry out aims to verify whether the jurisdictional assessment of so-called climate non-compliance by States as a violation and limitation of fundamental rights could represent, in the name of the right to the climate, a limiting tool for environmental degradation also for future generations.