UNAR, Dossier Statistico Immigrazione 2014. Dalle discriminazioni ai diritti, IDOS

Il Dossier Statistico Immigrazione 2014, realizzato da IDOS per conto dell’UNAR – Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, partendo dalla panoramica europea e internazionale, mette a disposizione i dati più aggiornati sui flussi migratori verso l’Italia, sulla presenza straniera regolare, sull’inserimento dei migranti nel mondo del lavoro e nel tessuto sociale, sulla convivenza interreligiosa e sullo stato delle pari opportunità.

IL QUADRO INTERNAZIONALE ED EUROPEO

Nel mondo si contano 7 miliardi e 124 milioni di persone. Se la ricchezza mondiale fosse equamente ripartita, ciascuno disporrebbe di un reddito medio annuo di circa 14mila dollari USA a parità di potere d’acquisto. In realtà, sono almeno 2,7 miliardi (di cui oltre mezzo miliardo in Africa) le persone che sopravvivono con un reddito al di sotto della soglia di povertà (2,5 dollari giornalieri). Una tale e disuguale distribuzione della ricchezza esercita il suo impatto sulla mobilità internazionale, contribuendo a determinare gli spostamenti verso i paesi più ricchi. Alla fine del 2013 i migranti nel mondo sono stati stimati dalle Nazioni Unite in 232 milioni, il 3,3% della popolazione mondiale, tra i quali 175 milioni di lavoratori, pari al 5% dell’intera forza lavoro del pianeta. Il loro aumento è avvenuto al ritmo annuale di 2 milioni di unità negli anni ‘90, di 4,6 milioni di unità nella prima decade del 2000 e di 3,6 milioni di unità a partire dal 2010.

Nell’Unione Europea, a fine 2012, i residenti con cittadinanza diversa da quella del paese in cui vivono sono 34.061.000, il 6,8% della popolazione complessiva. Le presenze più consistenti si registrano in Germania (7.696.000), Spagna (5.072.000), Regno Unito (4.929.000), Italia (4.387.000 nel 2012, saliti a 4.992.000 nel 2013, per lo più a seguito delle revisioni post-censuarie) e Francia (4.089.000). Le incidenze più elevate sulla popolazione totale si registrano, invece, in Stati più piccoli quali Lussemburgo (45,5%), Cipro (19,7%), Lettonia (15,4%) ed Estonia (15,0%). Nel 2012 gli ingressi di cittadini stranieri nell’UE a 27 sono stati quasi 3,4 milioni (400mila in più rispetto all’anno precedente) e nella metà dei casi (1,7 milioni) si è trattato di cittadini comunitari. L’attuale crisi ha incrementato gli spostamenti dagli Stati membri del Mediterraneo verso il Nord, specialmente verso il Regno Unito e la Germania, paese che nel 2012 ha registrato l’arrivo di 40mila italiani e che è diventato il secondo sbocco mondiale per l’immigrazione a carattere “permanente” dopo gli Stati Uniti.

ITALIA, PAESE DI IMMIGRAZIONE

Dalla metà degli anni ’70, e in misura più consistente a partire dagli anni ’80, l’Italia è progressivamente diventata un paese di immigrazione. Dopo oltre un quarantennio, alla fine del 2013, gli stranieri residenti nel paese sono ufficialmente 4.922.085 su una popolazione complessiva di 60.782.668, con un aumento rispetto all’anno precedente di 164.170 unità (+3,7%), al netto delle revisioni censuarie. Ma il Centro Studi e Ricerche IDOS stima una presenza effettiva di 5.364.000 persone in posizione regolare. Le donne sono il 52,7% del totale, i minori oltre 1 milione (925.569 quelli con cittadinanza non comunitaria) e 802.785 gli iscritti a scuola nell’a.s. 2013/2014 (il 9,0% di tutti gli iscritti, ma ben il 20% a Piacenza e a Prato).

L’incidenza dei residenti stranieri sulla popolazione totale ha raggiunto l’8,1% (1 ogni 12 abitanti) e in 27 province supera il 10%, con punte massime in alcuni piccoli comuni, tra i quali spicca Baranzate in provincia di Milano (incidenza del 31%). Nel 2013, un quarto degli stranieri risiede in sole quattro province (Roma, Milano, Torino e Brescia). Gli stranieri residenti in Lombardia (oltre 1 milione) sono il 22,9% del totale nazionale e quelli residenti nel Lazio (oltre 600mila) il 12,5%. Lombardia e Lazio sono anche le regioni in cui le principali collettività straniere presenti in Italia registrano i numeri più consistenti, ma ciò non vale per tutte: tra le eccezioni spiccano i cinesi, per il 17% insediati in Toscana, e gli ucraini, per il 18,5% in Campania.

Nonostante il policentrismo delle provenienze (196 nazionalità rappresentate), circa la metà degli immigrati (51,1%) proviene da soli cinque paesi (Romania, Albania, Marocco, Cina e Ucraina) e circa i due terzi (64%) dai soli primi dieci. Rispetto al periodo antecedente la crisi, i flussi d’ingresso di nuovi lavoratori sono molto diminuiti. Nel 2013, i visti rilasciati per soggiorni superiori a 90 giorni sono stati 169.055, di cui solo 25.683 per lavoro subordinato e 1.810 per lavoro autonomo (in questo caso più di 100 visti per ciascun paese sono stati rilasciati in Russia, Stati Uniti, Ucraina, Cuba e Taiwan). Attualmente a determinare la crescita della popolazione straniera sono soprattutto gli ingressi per ricongiungimento familiare (76.164 visti) e le nuove nascite (77.705 a fronte di 5.870 decessi). I cittadini italiani per acquisizione, che erano 285.782 nel 2001, sono saliti a 671.394 al Censimento del 2011 (+135%), cui si aggiungono 65.383 acquisizioni nel 2012 e 100.712 nel 2013.

Non è dato sapere quanti, tra gli immigrati non comunitari i cui permessi di soggiorno sono scaduti senza essere rinnovati (262.688 nel 2011, 166.321 nel 2012 e 145.670 nel 2013), si siano trattenuti in Italia. Dai registri anagrafici risulta che nel 2013 le partenze per l’estero hanno coinvolto ufficialmente solo 44mila cittadini stranieri e 82mila cittadini italiani (i nostri connazionali ufficialmente residenti all’estero sono 4.482.115 alla fine del 2013, nel 1861 erano solo 230mila). Tuttavia, è prevalente la convinzione che, anche per effetto delle regolarizzazioni del 2009 e del 2012, che hanno registrato in tutto 430mila domande, la popolazione straniera in posizione irregolare ammonti a meno di mezzo milione di persone (pari a neppure un decimo della presenza regolare, la stessa incidenza accreditata dalle Nazioni Unite a livello mondiale). Sono, invece, disponibili i dati sulle persone non autorizzate all’ingresso e alla permanenza in Italia: nel 2013 sono state 7.713 quelle intercettate alle frontiere italiane, 8.769 quelle rimpatriate e 13.529 quelle intimate di espulsione ma non ottemperanti a tale obbligo. Complessivamente si è trattato di 30.011stranieri, in costante diminuzione dal 2006, quando furono 124.381. Nel 2013, sono stati 107mila gli attraversamenti non autorizzati delle frontiere dell’UE, che nel periodo 2007-2013 ha speso 1,8 miliardi per il loro controllo e solo 700 milioni per progettidi accoglienza dei profughi.

Estremamente problematici, come attestano di continuo le proteste e le rivolte delle persone in essi trattenute, sono i Cie – Centri di identificazione e di espulsione, anche in considerazione del progressivo ribasso dei costi di gestione (30 euro al giorno a persona), con un inevitabile impatto sulle già critiche condizioni di vita dei trattenuti e sul rispetto dei diritti umani, come ha sottolineato l’organizzazione Medici per i Diritti Umani (MEDU), supportata in questo giudizio dalla Commissione del Senato per i diritti umani. Dei 420 Cie presenti nell’UE, per una capacità complessiva di 37mila posti, quelli istituiti in Italia sono 10, comportano un costo medio di almeno 55 milioni di euro all’anno e nel 2013 hanno registrato 6.016 trattenimenti. La durata massima di trattenimento, dopo essere stata innalzata a 18 mesi nel 2011, ad ottobre 2014 è stata ridotta a un massimo di tre mesi.D’altra parte i ritorni assistiti, che escludono la coazione e prevedono anche un aiuto economico, seppur modesto, per il reinserimento in patria, sono poche centinaia a causa della scarsità dei fondi disponibili, a fronte di una necessità potenzialmente molto estesa (dal 2008 sono stati seguiti dall’OIM oltre 3mila rimpatri, finanziati con fondi europei).

ITALIA, TERRA D’ASILO

Nel mondo sono 1,2 milioni i richiedenti asilo la cui posizione è ancora in corso di definizione e 16,7 milioni quelli che hanno ottenuto lo status di rifugiati o una forma di protezione.In Italia, paese maggiormente esposto per la sua posizione geografica ai flussi di migranti in fuga attraverso il Mediterraneo,le persone “sbarcate” sono state 22mila nel 2006, 20mila nel 2007, 37mila nel 2008, 63mila nel 2011, 43mila nel 2013 e oltre 130mila nei primi 9 mesi del 2014 (con almeno 3mila persone morte nel corso di quest’ultimo anno durante la traversata). “Mare Nostrum”, operazione a finanziamento e gestione italiana avviata il 18 ottobre 2013, in circa un anno ha salvato almeno 127mila persone (dato al 15 settembre 2014). Da novembre 2014 ha preso avvio l’operazione “Triton” (ex “Frontex Plus”), coordinata dall’Agenzia europea Frontex con finalità di pattugliamento delle frontiere, nei cui confronti è stata auspicata una più forte attenzione umanitaria (in termini di salvataggio e tutela) da tutte le organizzazioni sociali e anche da Papa Francesco.

In Italia nel 2013 sono state 26.620 le richieste d’asilo a fronte delle oltre 127mila ricevute dalla Germania. Il 10 luglio 2014 è intervenuto un accordo Stato-Regioni-Enti Locali che permetterà di coordinare tutti i soggetti coinvolti nel sistema di accoglienza, puntando anche sull’ampliamento dello SPRAR a circa 20mila posti nel triennio 2014-2016, al fine di rendere più efficace la “seconda accoglienza”. Il Ministero dell’Interno ha comunicato inoltre che, alla fine di settembre 2014, le presenze dei migranti nei centri di accoglienza erano oltre 61mila: 32.471 nelle strutture temporanee, 18.697 nell’ambito dello SPRAR, 10.368 distribuite tra Cara-Cda-Cpsa.

UNA FORZA LAVORO INDISPENSABILE, MA ANCORA SUBALTERNA

Secondo l’indagine Istat sulle forze lavoro, sono 2,4 milioni gli occupati stranieri, oltre un decimo del totale (l’incidenza era solo del 3,2% nel 2001). L’87,1% svolge un lavoro dipendente, seppure con notevoli differenze tra le varie collettività. Prevale l’occupazione nei servizi (63,6%) su quella nell’industria (31,7%, con il 13,3% nelle sole costruzioni) e in agricoltura (4,7%). Alla fine del 2013 si contavano 3 milioni e 113mila disoccupati in Italia (493mila dei quali stranieri). Tra gli stranieri il tasso di disoccupazione è salito nel 2013 al 17,3%, mentre tra gli italiani all’11,5%; viceversa, il tasso di occupazione è sceso al 58,1% tra gli stranieri e al 55,3% tra gli italiani. Nel periodo della crisi (2008-2013), inoltre, il tasso di disoccupazione degli stranieri è aumentato di 5,7 punti percentuali (tra gli italiani di 3,6 punti). Nel 2013, è cresciuto anche il divario della retribuzione netta mensile percepita in media dagli stranieri (959 euro, -27% rispetto ai 1.313 euro dei lavoratori italiani), così come tra i primi risulta più elevata l’incidenza dei sottoccupati.

Più di un terzo (35,3%) degli occupati stranieri svolge professioni non qualificate (in particolare nei servizi domestici e alberghieri) e quasi altrettanti sono impiegati come operai (32,6%), mentre il 26,0% lavora da impiegato o addetto ad attività commerciali o nei servizi e solo il 6,1% svolge professioni qualificate(tra gli italiani il 37,3%). Il superamento di questa posizione subalterna non avviene neanche dopo una lunga permanenza in Italia, né a fronte di un livello di formazione avanzato: 1 milione di stranieri, pari al 41,1% degli occupati, possiede un grado di istruzione più elevato rispetto alle mansioni che svolge (tra gli italiani si tratta, invece, del 18,5%), a dimostrazione che il livello di studi degli immigrati è generalmente medio-alto (il 10,3% ha una laurea e il 32,4% un diploma: dati del Censimento 2011).Il buon andamento delle imprese esportatrici non è bastato a sostenere l’economia italiana (-1,9% del Pil nel 2013 e -0,3% previsto per il 2014) né il livello occupazionale e, come attesta la ripresa dell’emigrazione italiana, manca una riqualificazione del sistema produttivo nazionale. A quest’ultimo hanno assicurato un indubbio sostegno le persone nate all’estero, con le loro imprese (497.080), cresciute anche in periodo di crisi (circa 20mila aziende in più all’anno nell’ultimo biennio).

Pur nella precarietà della situazione attuale, gli immigrati, in quanto produttori di reddito, hanno continuato a sostenere i loro paesi di origine e le loro famiglie attraverso l’invio delle rimesse,che sono state, nel 2013, pari a 542 miliardi di dollari a livello mondiale e a 5,5 miliardi di euro in Italia (in calo per via della crisi, rispetto ai 6,8 miliardi del 2012).Un ruolo particolarmente positivo continua a essere svolto dagli immigrati sul piano previdenziale, grazie alla loro più giovane età (in media 31,1 anni contro i 44,2 degli italiani al Censimento 2011), che ne fa dei fruitori marginali del sistema pensionistico. Nel 2012 sono stati versati circa 8,9 miliardi di euro di contributi da lavoratori stranieri e in futuro, secondo le stime di IDOS, l’incidenza degli stranieri tra quanti raggiungeranno l’età pensionabile sarà del 2,6% nel 2016, del 4,3% nel 2020 e del 6,0% nel 2025, quando tra i residenti stranieri i pensionati saranno all’incirca 1 ogni 25 (oggi tra gli italiani sono 1 ogni 3).

Bisogna anche interrogarsi sulle prestazioni che gli immigrati si aspettano dal sistema previdenziale e assicurativo italiano. In questa difficile congiuntura, il 12,6% delle famiglie in Italia si trova in condizione di povertà relativa e il 7,9% in condizione di povertà assoluta (quota che sale al 9,9% tra gli individui). Le famiglie con almeno un componente straniero sono 2.354.000 (il 7,1% del totale delle famiglie) e al loro interno la disoccupazione desta preoccupazione non solo perché cresciuta rapidamente, ma perché coinvolge maggiormente individui adulti che ricoprono un ruolo determinante nella costituzione dei redditi familiari. Ne deriva un maggiore ricorso alle prestazioni di sostegno socio-previdenziale, che però si scontra spesso con forti e illegittime chiusure a livello comunale, regionale e nazionale.

SUPERARE LE DISCRIMINAZIONI PER UNA EFFETTIVA INTEGRAZIONE

In questa edizione del Dossier un’attenzione specifica è stata dedicata alla rilevazione di situazioni di discriminazione degli immigrati, de iure e de facto, in diversi ambiti del loro inserimento nella società italiana. In particolare è stato messo a punto per la prima volta un set di quattro indicatori statistici di discriminazione, elaborati ognuno attraverso un metodo comparativo (ovvero basato sul differenziale esistente, a partire dal livello nazionale fino a quello provinciale, tra la situazione degli immigrati e quella degli autoctoni) e riguardanti l’accesso alla casa, la canalizzazione verso gli studi superiori, il tasso di impiego lavorativo e la tenuta occupazionale.

Del resto, i casi di discriminazione segnalati all’UNAR nel 2013 sono stati 1.142, dei quali il 68,7% su base etnico-razziale.I mass media rappresentano il fronte più esposto (34,2% delle segnalazioni rispetto al 19,6% dell’anno precedente), specialmente dopo la nomina a Ministro di Cécile Kyenge Kashetu, una donna immigrata di origine congolese. Consistenti sono anche i casi di discriminazione nei contesti di vita pubblica (20,4% del totale). Accomunati da un’incidenza di poco superiore al 7% di tutte le segnalazioni sono le discriminazioni segnalate, rispettivamente, nell’accesso al lavoro e ai servizi pubblici, mentre il 5,1% ha riguardato l’accesso alla casa. Valori percentuali minori,ma non trascurabili (attorno al 4%), contrassegnano le discriminazioni denunciate nei confronti della scuola e delle forze pubbliche.

Di particolare importanza è proprio l’accesso all’abitazione, diventato più problematico a causa della crisi del settore: secondo i dati di Scenari Immobiliari, le 40mila compravendite effettuate da stranieri nel 2013 sono meno di un terzo rispetto a quelle degli anni antecedenti la crisi (erano state 135mila nel 2007) e anche il volume finanziario si è ridotto a 7,8 miliardi di euro (16,8 miliardi di euro nel 2007). Ne è conseguita una maggiore canalizzazione nel mercato degli affitti (spesso discriminatorio) e nei bandi dell’edilizia residenziale pubblica.

In diverse circostanze è stato possibile superare la diversità di trattamento solo a seguito dell’azione giudiziaria, del ricorso alla normativa comunitaria (segnatamente della Direttiva CE sui cittadini non comunitari lungo-soggiornanti) e alla Corte di Giustizia di Lussemburgo. Ad esempio, per tutelare il diritto alle prestazioni di invalidità e all’indennità di accompagnamento, a prescindere dalle condizioni di reddito e di residenza, come anche per tutelare l’accesso all’edilizia residenziale pubblica, è dovuta intervenire la Corte Costituzionale (sentenze n. 40/2013 e 168/2014), mentre per superare la chiusura nel riconoscimento degli assegni per i nuclei familiari con almeno tre figli è stato necessario l’orientamento uniforme della magistratura di merito.

Tuttora, a livello amministrativo, si fatica a recepire che i bandi per i concorsi pubblici (tranne alcune ristrette tipologie) non possono essere riservati ai soli cittadini italiani o comunitari. Non mancano le resistenze inverse e, mentre il Ministero della Giustizia ha ritenuto superata la legge sulla stampa (n. 47/1948), circa il requisito della cittadinanza italiana per diventare direttori di testate giornalistiche, qualche giudice di merito non è stato in sintonia con questa apertura.In ambito sportivo, durante il campionato professionistico di calcio 2013/2014 sono stati numerosi gli episodi di discriminazione legati alla diversa origine razziale o territoriale (118). L’Osservatorio su Razzismo e Antirazzismo nel calcio ha monitorato anche 55 episodi di razzismo (di cui 14 in campo) nel calcio dilettantistico, che coinvolge un numero maggiore di giocatori stranieri o di origine straniera. E molto resta da fare per eliminare le “discriminazioni istituzionali” che impediscono agli stranieri (inclusi quelli di seconda generazione) l’accesso al calcio professionistico.

Particolarmente odiose sono le discriminazioni a motivo della propria fede. Con l’immigrazione la società italiana è diventata strutturalmente multireligiosa e si stima che tra gli stranieri le appartenenze religiose si ripartiscano come segue: musulmani 33,1%, ortodossi 29,6%, cattolici 18,5%, fedeli delle tradizioni religiose orientali 6,4%, evangelici e altri cristiani 5,0% e, a seguire, altri gruppi di ridotte dimensioni tra cui anche gli ebrei. Questo tema, trattato nel Dossier da un gruppo di studio interconfessionale (cattolici e protestanti), porta a interrogarsi su come favorire l’incontro tra persone di diversa fede religiosa.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.