Francesco Gaspari, La successione a titolo particolare nel diritto controverso nel processo amministrativo, ESI, Napoli, 2020

Premessa

Una trattazione sulla successione a titolo particolare nel diritto controverso nel processo amministrativo, nella considerazione dei principi generali costituzionali, quali la tutela del diritto di difesa e del giusto processo, questa la monografia di Gaspari tesa a colmare un vuoto negli studi sul processo amministrativo.

 Dibattuto in dottrina e giurisprudenza, il tema è di interesse, per il fatto di essere il mutamento della titolarità delle situazioni giuridiche soggettive, a confronto nel processo ed in particolare in quello amministrativo, non un’eventualità per il protrarsi nel tempo del giudizio.

Per il processo amministrativo, mancante di una previsione espressa che regoli la successione nel diritto controverso, è da individuare la normativa applicabile. In rilievo, dunque, il rapporto tra diritto sostanziale e diritto processuale, la problematica circa la funzione del processo in relazione al diritto sostanziale di cui l’interrogativo se è servente o autonomo rispetto a quest’ultimo.

Di qui una questione aperta, ad affrontarla Gaspari, con completezza di indagine e riflessione sul processo civile e processo amministrativo.

L’autore ricerca sistemazioni per transitare l’art. 111 c.p.c. nel processo amministrativo allo scopo di “assicurare alla parte estranea al fenomeno successorio una tutela giurisdizionale effettiva”, senza le lungaggini dell’interruzione e ripresa del processo, per seguire il soggetto che subentra nella titolarità di una delle situazioni giuridiche soggettive a confronto nel processo.

Contenuti della monografia

Articolata in sei capitoli, la monografia è strutturata con una premessa sull’oggetto d’indagine, conclusioni a chiusura formale del discorso ed una bibliografia considerevole.  

La trattazione problematica di tutti i profili dell’istituto, con una panoramica delle questioni, punta a suscitare ulteriori considerazioni, fornendo gli strumenti necessari.

In premessa, l’Autore sottolinea il mutamento soggettivo di una delle parti è evento che si verifica perché il processo deve necessariamente svolgersi nel tempo, non potendo essere istantaneo, e che l’istituto si colloca nel crinale dei rapporti tra processo e diritto sostanziale, per cui le ricostruzioni sistematiche fanno perno prevalentemente sulla diatriba della rilevanza e della irrilevanza, a seconda che si consideri la successione  intervenuta in corso di causa, ma fuori dal processo nei rapporti regolati dal diritto sostanziale, rilevante ovvero irrilevante per il processo pendente

Per comprendere la vigente normativa, Gaspari ritiene fondamentale un’introduzione storica che affonda le sue radici nel 1800 e nei Länder tedeschi prima dell’unificazione nel 1871 nel Reich.

Il primo capitolo richiama le disposizioni del Württenberg del 1868 per aver definito una disciplina, passata poi nel 1877 nel Civilprozessordnung del Reich; al codice di procedura civile del 1865 che non disciplinava l’istituto, esponendo le soluzioni indicate dalla dottrina italiana e dalla giurisprudenza, e all’art. 111 del codice di procedura civile del 1940 e tutt’ora vigente.

L’art. 111 c.p.c. mostra evidenti segni dell’influenza della dottrina e legislazione tedesche e l’Autore, in ordine alla ratio dell’istituto, sottolinea come la dottrina e giurisprudenza pacificamente la individuino nella salvaguardia degli interessi della controparte del dante causa e dunque “nell’esigenza di un effettivo rispetto del principio del contraddittorio e del diritto di difesa della parte che non trasferisce nulla” (pag. 21).

 Per comprendere gli sviluppi del lavoro di Gaspari è necessario richiamare le disposizioni dell’art. 111 c.p.c., la rubrica si compone  di quattro commi: al primo si stabilisce che “il processo prosegue tra le parti originarie”; al secondo che se il trasferimento avviene “a causa di morte il processo è proseguito dal successore universale o in suo confronto”, al terzo che “in ogni caso il successore a titolo particolare può intervenire o essere chiamato nel processo e, se le altre parti vi consentono, l’alienante o il successore universale può essere estromesso”; infine, il quarto comma, disciplina le conseguenze della sentenza che “spiega sempre i suoi effetti anche contro il successore a titolo particolare ed è impugnabile anche da lui”.

Nel capitolo secondo si passa a trattare dell’istituto nel processo amministrativo, ricostruendo il percorso svolto dalla giurisprudenza e dalla dottrina amministrativistica sulla base delle previsioni della L. n. 1034 del 1971 per l’interruzione e del Regolamento di procedura innanzi al Consiglio di Stato n. 642/1907 sulla successione o il trasferimento di competenze tra enti pubblici, rimarcando che, per buona parte del XX secolo, stante il carattere oggettivo del processo amministrativo, si esclude l’applicazione della tesi della sostituzione processuale, utilizzata nel processo civile.

Con il superamento della concezione oggettiva, la dottrina riteneva applicabile, anche nel processo amministrativo, la “sostituzione processuale”.

L’introduzione del codice del processo amministrativo e, soprattutto, l’art. 39 c.p.a., porta l’Autore a verificare se, attraverso il rinvio esterno al codice del processo civile, sia consentita l’applicazione delle disposizioni dettate dall’art. 111 c.p.c. Egli giunge alla conclusione positiva, condivisa dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalenti, atteso che la disciplina dell’art. 111 c.p.c. è da qualificare come principio generale che, da un lato, consente di colmare una lacuna normativa nel codice di rito amministrativo, e, dall’altro lato, riduce il ruolo creativo della giurisprudenza.

Anche quando parte della giurisprudenza amministrativa afferma che l’art. 111 c.p.c. è applicabile perché non incompatibile con la struttura del processo amministrativo, si perviene allo stesso risultato.

La diversa impostazione che si collega alla previsione alternativa dell’art. 39 c.p.a. (“in quanto compatibili o espressione di principi generali”), induce l’Autore ad approfondire i rapporti tra il processo amministrativo ed il processo civile, alla luce dell’interpretazione dell’art. 39 del c.p.a.

Gaspari richiama, ancóra, una tesi che muove dall’esistenza di un “diritto processuale comune”, costituito non solo dal diritto processuale civile, ma anche dalla Costituzione, dalla Cedu, dai Trattati dell’Unione Europea, nonché dalla giurisprudenza delle Corti sovranazionali.

 Sotto tale profilo, ancorché muova dalla prospettiva del diritto processuale civile, viene richiamata una recente risoluzione del Parlamento Europeo del 4 luglio 2017, nella quale ripresa l’autonomia degli Stati membri in materia processuale, si rileva come il legislatore dell’Unione stia sempre affrontando questioni di carattere processuale. Nella risoluzione si fa riferimento all’ acquis della giurisprudenza della Corte di giustizia Ue, alla CEDU, alla Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea, ai Trattati UE ed al diritto derivato dell’Unione e si raccomanda alla Commissione di proporre un atto legislativo sulle norme procedimentali minime a livello di Unione. L’Autore rileva, dunque, che anche a livello dell’Unione la tendenza sia quella di individuare un diritto processuale “minimo” o “comune” applicabile in tutti gli Stati membri con l’obiettivo di emanare codici di procedura dell’Unione.

 Per Gaspari, di tale diritto processuale comune sarebbe espressione il principio del gusto processo ex art. 111 Cost., il quale, come è stato osservato in dottrina, si applica al processo amministrativo alla stregua di ogni altro processo. Parimenti espressione di un principio generale di diritto processuale si rivelerebbe l’art. 24 Cost.

Alla luce delle considerazioni svolte, l’Autore ritiene che il rinvio esterno operato dall’art. 39 c.p.a. non riduca detto codice ad una mera appendice del c.p.c.; e la mancata applicazione dell’art. 111 c.p.c. renderebbe critica la posizione processuale delle controparti.

L’istituto in esame, espressione del diritto processuale comune, non si pone neppure in contrasto con la giurisprudenza della Consulta, che, da un lato, ha più volte chiarito come non esista un principio costituzionale di necessaria uniformità trai diversi tipi di processo, mentre, dall’altro lato, ha affermato come, in ordine alla disciplina dei singoli istituti processuali, sia riconosciuta un‘ampia discrezionalità del legislatore nella loro conformazione, fermo restando il limite della manifesta irragionevolezza di una disciplina che comporti un’ingiustificabile compressione del diritto di agire.

L’ art. 111 c.p.c. evita proprio detta irragionevolezza, atteso che la sua mancanza nell’ordinamento giuridico renderebbe più difficile la posizione delle controparti e quindi costituisce pertanto espressione del più generale principio del giusto processo, ed in particolare del principio di parità delle parti.

Nel capitolo terzo, la problematica approfondita dalla dottrina tedesca della “Relevanz e Irrilevanz theorie” con le origini della distinzione, posta al centro dell’opera per rilevare che l’alternativa tra le due teorie si traduce, in termini dommatici, nell’individuazione “dell’oggetto del giudizio proseguito ai sensi dell’art. 111 c.p.c.: in particolare se questo sia costituito dal diritto ancora in capo al dante causa (irrilevanza) ovvero trasferito al successore (rilevanza)”.

A chiarire le posizioni del dante causa e dell’avente causa, a seconda della rilevanza o meno del trasferimento nel processo, le ricostruzioni dottrinali che qualificano il dante causa come “legittimato straordinario”, con il processo che prosegue nei suoi confronti sino alla sentenza che riguarda l’avente causa per la c.d. efficacia riflessa, e come “sostituto processuale” perché continua il giudizio al posto del successore, con gli effetti della sentenza imputati direttamente al successore e non al dante causa.

Per l’Autore, sia la teoria della rilevanza che quella dell’irrilevanza sono astrattamente compatibili e la giurisprudenza amministrativa oscilla tra l’una e l’altra soluzione, con conseguenze giuridiche diverse e significative in ordine alla modifica del thema decidendum, al regime delle eccezioni spendibili nel corso del processo, alla posizione processuale ed ai poteri delle parti, all’individuazione dei legittimati all’eventuale successivo giudizio di ottemperanza.

Da qui la necessità di approfondire, nel capitolo quarto, la giurisprudenza amministrativa che afferma la irrilevanza e quella che sposa la tesi della rilevanza. Per la prima (irrilevanza), non si verifica successione di soggetti, né per il ricorrente, né per il resistente sia nel giudizio di cognizione che nell’ottemperanza per una sorta di perpetuatio legittimationis, ma gli effetti della sentenza si producono anche nei confronti dei successori. Per la tesi della rilevanza, la giurisprudenza ritiene che il dante causa sia un sostituto dell’avente causa e l’intervento di questo ultimo nel processo non determinerebbe l’estromissione del dante causa, se non vi è esplicito concorde consenso di tutte le parti. Gaspari dà conto anche di decisioni del giudice amministrativo che hanno dichiarato l’improcedibilità per sopravvenuto difetto di interesse, quando l’avente causa non interviene nel processo e le critica perché si “disapplica” il primo comma dell’art. 111 c.p.c.

Nel quinto capitolo viene considerato il significato di “diritto controverso” per il quale si apre un’alternativa di fondo, esplorata dalla dottrina processualcivilistica: la dimensione sostanziale ovvero meramente processuale entro cui collocare il fenomeno successorio nel diritto controverso. La dottrina ha incontrato difficoltà nel considerare il trasferimento di una situazione giuridica soggettiva che è sub judice e, all’esito del processo, può addirittura risultare inesistente.

Di qui ritenere una successione nella lite, come un quid di natura processuale, una pretesa “a metà tra l’azione e il diritto soggettivo perfetto” (pag. 96) o rilevare, invece, che il diritto controverso è un oggetto immediato del giudizio, sostenendo che l’oggetto del giudizio, in quanto tale, non può essere trasferito.

Questa impostazione, riflessa nel processo amministrativo, apre l’indagine all’oggetto del processo amministrativo che l’Autore individua nel rapporto amministrativo che si instaura tra l’amministrazione titolare del potere ed i governati, titolari dell’interesse legittimo, in senso non restrittivo rendendo la nozione utile per chiarire il significato di diritto controverso nel processo amministrativo.

Esaminando l’istituto della successione nel processo alla luce del principio del contraddittorio, l’Autore rileva che tutti i soggetti nei confronti dei quali l’emananda sentenza è destinata a produrre effetti dovrebbero essere legittimi contraddittori, per cui l’art. 111 c.p.c. è una eccezione alla regola del litisconsorzio necessario.

La giurisprudenza ha individuato la ratio della disciplina dettata dall’art. 111 c.p.c. nella conservazione dell’originaria configurazione del rapporto processuale, neutralizzandolo rispetto alle vicende traslative del “diritto controverso”.
In mancanza delle disposizioni di cui all’art. 111 c.p.c., si dovrebbero applicare le norme sull’integrazione del contraddittorio.

Al capitolo sesto si approfondisce l’istituto in relazione alla sentenza, prendendo in considerazione l’efficacia soggettiva, la sua estensione e gli effetti c.d. riflessi.
L’Autore ricorda le riflessioni di Rudolf Von Jhering sugli effetti riflessi definiti come le ripercussioni che un fatto giuridico estende su terzi al di là della sua propria sfera di efficacia e richiama la dottrina italiana che ha legato questi effetti alla cosa giudicata, anziché identificare un autonomo effetto della sentenza, per poi passare al versante processuale amministrativo quando parte della dottrina risalente affermava che il giudicato estendesse la sua efficacia, oltre che inter partes, erga omnes per la ritenuta natura oggettiva della giurisdizione amministrativa.

Superata la concezione oggettiva, l’efficacia ultra partes della sentenza amministrativa è confinata ai casi di indivisibilità della efficacia dell’atto annullato, per cui il giudicato è limitato alle parti e lo si ritiene non estensibile, salvo l’effetto riflesso della decisione.
         Per una lettura costituzionalmente orientata degli effetti della sentenza, l’Autore espone la giurisprudenza civile e quella amministrativa sull’efficacia riflessa ed efficacia diretta del giudicato e critica la tesi della efficacia riflessa della sentenza perché in insanabile contrasto non solo con l’art. 2909 c.c., ma anche con i principi del diritto di difesa del terzo e del contraddittorio di cui agli artt. 24 e 111 della Costituzione.

Non può parlarsi di efficacia “riflessa” per l’avente causa, come estensione dell’accertamento contenuto nella sentenza al di là del rapporto disciplinato dalla decisione, in virtù del nesso di pregiudizialità-dipendenza tra rapporti giuridici.
         Per Gaspari, il vincolo previsto dal comma 4 dell’art. 111 c.p.c. è un’estensione degli effetti della sentenza nei confronti del terzo avente causa, prescinde dalla rilevanza o irrilevanza della successione nel processo e non viola le garanzie costituzionali perché si assicura allo “avente causa lite pendente la piena tutela del diritto di difesa” e una serie di presidi “tra cui, in primis, la facoltà di prendere parte al giudizio, e con pieni poteri processuali, per lo meno in fase di gravame” (pag. 137).

Nelle conclusioni il riepilogo delle vicende storiche come base per le disposizioni dell’art. 111 c.p.c. e delle disposizioni previgenti sul processo amministrativo lacunose sull’istituto, per ribadire che anche il c.p.a. non detta alcuna disciplina, per cui il riferimento, per il rinvio esterno previsto nell’art. 39 c.p.a., è l’art. 111 c.p.c. applicabile nel processo amministrativo.

Riassunti i punti salienti dell’istituto nel processo amministrativo, con particolare riferimento all’interesse legittimo, situazione giuridica soggettiva a soddisfazione non garantita e al rilievo che la successione nel processo “implica un fenomeno ben più ampio e articolato che non il mero trasferimento di una posizione giuridica sostanziale, riguardando… il rapporto giuridico amministrativo e procedimentale”, l’Autore sottolinea che il “diritto controverso riguarda tanto la posizione legittimante quanto lo interesse legittimo fatto valere in giudizio” ed include l’art. 111 c.p.c. tra le eccezioni alla regola del contraddittorio necessario.

 L’istituto della successione a titolo particolare nel processo amministrativo soddisfa la ratio fondante della disciplina: “la necessità di assicurare alla parte estranea al fenomeno successorio una tutela giurisdizionale effettiva (art. 1 c.p.a.)”, pag. 141.

L’Autore, sperimentando un campo pressoché inesplorato del processo amministrativo, rivestito di basi dottrinali, con riferimenti continui al dato giurisprudenziale, apre la strada a sviluppi futuri e premesse per ulteriori ricerche sulla successione a titolo particolare nel processo amministrativo.

Viene da chiedersi se la vera o presunta lacuna non possa essere colmata diversamente, applicando le disposizioni od i principi desumibili dal codice del processo amministrativo.

Mara Costantino

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