Domenico Amirante, La democrazia dei superlativi. Il sistema costituzionale dell’India contemporanea, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2019

La democrazia indiana è la “democrazia dei superlativi”: la “democrazia più grande del mondo”, in cui vi sono più di 800 milioni di elettori; la Costituzione democratica “più lunga del mondo” con più di 400 articoli fra testo e allegati; il sistema politico “più complicato del mondo” (classi sociali, caste di origine tradizionale, gruppi religiosi, comunità tribali, ecc.); lo Stato federale “più multiculturale del mondo”; il sistema giurisdizionale “più grande del mondo”.

Il titolo scelto per questo libro riassume sinteticamente le ragioni per cui vale la pena studiare  il sistema costituzionale dell’India contemporanea, l’unico ordinamento democratico nella più vasta area del South Asia, che comprende Stati diversi (Pakistan, Bangladesh, Buthan, Nepal e, a seconda delle interpretazioni, anche gli Stati insulari di Sri Lanka e delle Maldive).

Nonostante  l’approssimarsi del settantennale della sua Costituzione, la “democrazia più grande del mondo” non ha ancora ricevuto l’attenzione che merita da parte della comunità dei comparatisti italiani. Certo, non mancano alcune significative eccezioni, tra cui la più autorevole è, per l’appunto, rappresentata dall’autore di questo libro, che rappresenta l’epilogo del suo lungo percorso – più che ventennale – di ricerca condotto anche nelle più prestigiose università dell’Unione Indiana.

Il libro ci permette di conoscere meglio un sistema politico estremamente complicato, anche grazie alla prospettiva metodologica adottata, che si caratterizza nel segno di un diritto pubblico comparato “inclusivo”. In tal senso l’A., nel seguire l’indicazione metodologica di Menski, suggerisce di studiare gli ordinamenti giuridici senza  escludere mai nessuna delle tre dimensioni: statale, sociale, etico-religiosa. Infatti, soltanto attraverso l’esame attento delle loro interrelazioni dinamiche è possibile evitare una raffigurazione “monolitica” degli ordinamenti stessi.

Particolarmente interessanti sono le riflessioni che si possono trarre dall’esperienza dell’Unione Indiana, che rappresenta un “prototipo” istituzionale, il buon risultato di quello che possiamo definire un caso storico di “costituzionalismo meticcio”. La Costituzione indiana infatti, scrive l’A., «rappresenta un caso interessante di uso di molti strumenti del costituzionalismo occidentale per costruire un ordinamento fondamentalmente “autoctono”, caratterizzato da una notevole originalità» (cit. p. 29).

L’A. suggerisce, inoltre, di studiare lo Stato federale “più multiculturale del mondo”, perché esso è in grado di indicare pure alle società multiculturali occidentali nuovi percorsi e di fornire stimolanti soluzioni ai problemi della diversità e della differenza.  

s.b.

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