Mario Carta, Unione europea e tutela dello Stato di diritto negli Stati membri, Cacucci, Bari, 2020

Il volume offre un’analisi approfondita sulla tutela dello Stato di diritto nell’ordinamento degli Stati membri dell’Ue. L’autore esamina in particolare i Paesi in cui sono in atto processi di backsliding del rule of law, ricostruendo gli strumenti che il diritto dell’Unione offre per garantire il rispetto dello Stato di diritto.

Il lavoro si articola in tre capitoli. Il primo è dedicato al processo di positivizzazione del valore/principio dello Stato di diritto nell’Unione europea, dal « Progetto Spinelli », in cui sono presenti soluzioni  da considerarsi ancora innovative ed attuali, sino al Trattato di Lisbona, che codifica definitivamente lo Stato di diritto tra i valori di cui all’ art. 2 TUE. La giurisprudenza della Corte di Giustizia sulla portata dell’art. 2 TUE – con il  riconoscimento della sua natura precettiva congiuntamente all’art. 19 TUE –  e gli effetti giuridici legati alla procedura ex art. 7 TUE, sebbene di natura c.d. « politica », sono esaminati alla luce del contributo da essi fornito al riconoscimento dello Stato di diritto quale principio e non semplice valore nel diritto UE.  In tale prospettiva,  il processo di giuridificazione è, in definitiva,  interpretato  già come una prima forma di tutela dello Stato di diritto.

Nel secondo capitolo è analizzato il contenuto del principio dello Stato di diritto. L’ accezione utilizzata dalla Commissione nella sua Comunicazione « Un nuovo quadro dell’ UE per rafforzare lo Stato di diritto » è posta in relazione sia alla definizione che il Consiglio d’ Europa ha dato della nozione di rule of law nel continente europeo, sia alle varie concezioni thin thick del rule of law che sono, neanche troppo implicitamente, richiamate nei  documenti e nella giurisprudenza di Lussemburgo e Strasburgo. Se entrambi i sistemi sembrano condividere una comune nozione sostanziale di Stato di diritto tale da includere al suo interno anche la tutela dei diritti fondamentali, e dunque quale espressione non esclusivamente del principio di legalità, le specificità del processo di integrazione europea sono legate all’ agire del principio nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia ed in relazione al principio della reciproca fiducia. L’esame condotto nel volume dell’applicazione del principio nel contesto del sistema europeo comune di asilo e del mandato di arresto europeo rivela la progressiva tensione tra il  rule of law e la reciproca fiducia, come già accaduto per la tutela dei diritti fondamentali proprio in questi ambiti, tale da  richiedere una complessa opera di bilanciamento, soprattutto  ad opera dei giudici del Kirchberg, tra principi che sembrano presupporre  esigenze contrapposte. Proprio il percorso compiuto sino ad oggi dalla giurisprudenza di Lussemburgo, volto ad affermare un concetto di reciproca fiducia non cieca,  non può far escludere, quale esito di tale processo,  il riconoscimento  della  violazione strutturale allo  Stato di diritto, in una delle  concretizzazioni  che tale nozione autonoma di volta in volta può assumere, tra le circostanze eccezionali di deroga alla reciproca fiducia. Un  esito  questo, tuttavia,  che la Corte di Giustizia dell’ UE al momento non sembra ancora aver fatto proprio.

Il terzo capitolo è, infine,  dedicato  al non agevole compito cui è chiamata la Corte di Giustizia quando si trova a dare forma e rilevanza alle c.d. systemic deficiencies, senza incorrere però nel rischio di alimentare fenomeni di competence creeping in violazione dei Trattati. Il lavoro esamina, in particolare, le questioni sollevate dalla  recente giurisprudenza di Lussemburgo che ha esercitato il proprio sindacato di legittimità, con profili sicuramente innovativi,  riguardo ad alcune legislazioni statali sebbene fossero state  adottate in settori di competenza riservata agli Stati membri, come l’organizzazione del sistema giudiziario nazionale ed in particolare l’indipendenza del giudice. Il ruolo svolto dal principio dello Stato di diritto –  inteso in senso sostanziale, nell’ ampliare lo scrutinio dei giudici del Kirchberg riguardo a competenze autonome degli Stati membri –  è al centro delle riflessioni dell’autore che ricostruisce la funzione svolta dalla procedura di infrazione e dal rinvio pregiudiziale quali strumenti di risposta a violazioni strutturali del diritto UE, anche di rango costituzionale, accanto all’ art. 7 TUE.  Tali rimedi «tradizionali» a disposizione delle istituzioni europee sono esaminati quando operano per accertare la natura strutturale delle violazioni allo Stato di diritto, nella concretizzazione costituita dall’ indipendenza ed imparzialità dei giudici, ai sensi degli art. 2 e 19 TUE e 47 della Carta dei diritti fondamentali, e relativamente agli obblighi che da queste disposizioni scaturiscono a carico degli Stati membri, ponendo questioni in buona parte inedite.

Da una parte emerge il tema dei limiti del sindacato della Corte di giustizia per violazioni strutturali allo Stato di diritto al di là dell’ambito di applicazione del diritto dell’ Unione  previsto dall’art. 51 della Carta dei diritti fondamentali e ancorato, invece, ai settori disciplinati dal diritto dell’ Unione, secondo l’art. 19 TUE, disegnando un sindacato con uno spazio applicativo non legato esclusivamente al principio delle competenze di attribuzione. Dall’altra, e sempre a titolo esemplificativo, l’attivazione della procedura di infrazione e il ricorso al rinvio pregiudiziale, in occasione  di violazioni di natura strutturale  e  con riferimento non esclusivamente a  violazioni di  « semplici »  diritti individuali, evocano funzioni tipicamente costituzionali per l’ assolvimento delle quali solo in parte tali strumenti, in particolare la procedura di infrazione  utilizzata sino alla recente giurisprudenza sugli articoli 2 e 19 TUE con modalità parzialmente differenti, risultano pienamente adeguati nonostante lo sforzo interpretativo operato in tal senso dalla Corte di Giustizia UE.

s.b.

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